MONZA – Nei proverbi, si sa, ci sono tanta saggezza e verità. E proprio al mondo della sapienza popolare ha voluto attingere Vincenzo Raucci, coordinatore del Centro psico sociale di via Aliprandi (e prima della Comunità riabilitativa ad alta assistenza di Brugherio) che vanta una lunga carriera come infermiere psichiatrico.
Raucci – innamorato del suo lavoro e della scrittura – ha appena dato alle stampe il libro “Storia (e filosofia) della salute mentale attraverso i proverbi e i modi di dire dei dialetti italiani”, una raccolta di oltre duecento proverbi sulla pazzia. Un lavoro di ricerca durato circa due anni tra biblioteche, rete e il sapere degli anziani che in ogni regione ancora conservano gelosamente il patrimonio dei vecchi proverbi. L’originalità del lavoro sta proprio nella scelta del tema: la scelta esclusivamente di detti che riguardano l’universo della follia.
“Ho deciso di far indossare ai detti popolari l’abito della cerimonia – spiega -. I dialetti sono ricchi di detti e proverbi sulla pazzia, e i proverbi sono tesori preziosi della nostra storia e delle nostre radici basati direttamente sull’esperienza dei nostri antenati”.
Curiosando nella raccolta (disponibile on line) c’è solo l’imbarazzo della scelta: tanti i detti che riguardano la sfera della pazzia, sia intesa come malattia mentale, sia in quella più poetica dell’amore e dei sentimenti che in alcuni casi portano le persone a compiere (nel bene e nel male) gesti spropositati. Per esempio come il vecchio detto campano “A femmena pe’ ll’ommo addaventa pazza, l’ommo p’a femmena addeventa fesso” insomma la donna per l’uomo impazzisce, l’uomo per la donna rincitrullisce.
Ma dietro alla sapienza popolare c’è, in alcuni casi, anche una sorta di risposta scientifica. Un vecchio proverbio lombardo cita che “A batt on matt el deventa pussee matt”: cioè a picchiare il matto diventa ancora più matto. I metodi troppi severi non portano sempre a quanto sperato. “Come nel caso del dottor Schreber (citato anche nel libro, ndr), medico tedesco dell’Ottocento che propagandava teorie educative molto severe – spiega Raucci -. Affermava che la società tedesca dell’epoca era in decadenza a causa della mancanza di disciplina dei bambini, applicando metodi molto rigidi. Anche in famiglia tanto che dei suoi tre figli uno morì suicida e due rinchiusi in manicomio”.
Poi c’è una parte dedicata anche a Mombello, emblema in Brianza della pazzia, quel manicomio che ospitò oltre 3 mila malati e che oggi è un’area abbandonata.
Barbara Apicella